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24/07/2015
NON VI CAPISCO PIU'. L'UOMO PRIGIONIERO NEL SUO LABIRINTO.
NON VI CAPISCO PIU'. L'UOMO PRIGIONIERO NEL SUO LABIRINTO.
da Il Venerdi di Repubblica
FERENC KARINTHY NARRA L'INCUBO DI UN MONDO SENZA COMUNICAZIONE. COME ACCADDE A WALLACE IN ITALIA

Per Budai comunicare non è un problema. È un linguista afermato, domina decine di lingue, pressoché tutte quelle europee (incluso, è chiaro, il suo ungherese) ma anche il sanscrito, l'hindi, il latino, l'armeno, il cinese, il giapponese e ancora altre. Eppure un simile patrimonio si rivelerà del tutto inutile quando circostanze imponderabili lo vedranno atterrare in una città ignota - lui che era certo di avere raggiunto Helsinki per un convegno - in cui nessuna parola, sia essa pronunciata dagli abitanti del luogo o scritta su un giornale, riesce minimamente decifrabile. È come se il linguaggio fosse diventato materia incoerente, ghiaia, un caos fonetico che non c'è modo di decodificare. E allora tutto si fa impervio trasformando ogni giorno in una sfida, dall'orientarsi nello spazio all'inventarsi una maniera per nutrirsi ai tentativi, reiterati e via via sempre più disperati, di fuggire dalla metropoli incomprensibile; persino manifestare il proprio amore per un'ascensorista bionda che forse, non si può esserne certi, potrebbe chiamarsi Epepe.

Ferenc Karinthy - che fu scrittore e giornalista ma anche traduttore di Goldoni e campione di pallanuoto - pubblicò per la prima volta Epepe nel 1970. Rendendone disponibile la lettura (nella traduzione di Laura Sgarioto), Adelphi ci fa recuperare un romanzo in cui l'ironia è feroce nella misura in cui è trattenuta, e chi narra la storia di Budai è tanto partecipe del suo destino quanto, al contempo, il suo scrupolosissimo carnefice. Per fabbricare la gabbia in cui questo piccolo eroe della decifrazione viene intrappolato, non c'è infatti niente di meglio che dargli fiducia nella possibilità di venire a capo dell'enigma linguistico - per esempio decrittando un cartellone pubblicitario o facendosi arrestare così da essere finalmente percepito - per poi ogni volta dimostrare (e dimostrargli) che da certe gabbie, proprio perché invisibili e strutturali, non c'è via d'uscita.

Viene in mente David Foster Wallace quando nel 2006, durante «Le Conversazioni» di Capri, raccontò che sperimentare tutt'intorno a lui una lingua, l'italiano, a lui incomprensibile, era qualcosa che lo riconduceva allo status of a baby. Se per l'autore di Infinite Jest questa indiscernibilità era avvertita come una specie di privilegio, per Budai non capire - e soprattutto esserne consapevole - è ragione di panico. Ed è questo, sempre impegnati a cercare di mettere tutto a fuoco, a rendercelo così vicino.
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