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10/09/2014
MARTIN AMIS: "TROPPI TABU'. LA MIA SHOA NON E' STATA CAPITA"
MARTIN AMIS: "TROPPI TABU'. LA MIA SHOA NON E' STATA CAPITA"
da La Repubblica
NEW YORK. Il nuovo romanzo di Martin Amis, intitolato “The Zone of Interest” è appena uscito negli Stati Uniti e in Inghilterra con critiche eccellenti: il “Sunday Times” lo ha definito “eccezionalmente coraggioso” e il termine “brillante” è stato utilizzato da molti recensori, compreso Richard Ford. Si tratta in effetti di uno dei suoi libri più belli, importanti e commoventi, che tuttavia ha generato anche una reazione inaspettata: Gallimard, storico editore francese dello scrittore, ha rifiutato il manoscritto, e lo stesso ha fatto il tedesco Hanser. Il libro, che è stato in seguito acquistato in Francia da Calmann-Levy ed uscirà in Italia il prossimo autunno per Einaudi, sconcerta per l’ambientazione, il punto di vista ed il tema: una riflessione sul desiderio amoroso all’interno di un campo di concentramento. I protagonisti sono tre uomini che hanno diverse funzioni nello sterminio degli ebrei: Golo Thomsen, nipote di Martin Bormann; Paul Doll, la cui moglie Hannah è desiderata da Golo, e Szmul, un ebreo costretto ad estrarre oro dai denti dei cadaveri delle persone uccise nelle camere a gas. Quest’ultimo è tormentato dai sensi di colpa (“siamo gli uomini più tristi mai esistiti”) e racconta, in uno dei passaggi più rivelatori, la storia del mago che costruisce uno specchio che riflette l’anima. Nella scena iniziale due giovani parlano di lavoro lamentando che il capo abbia una donna molto desiderabile: sembrerebbe un discorso da bar, ma all’improvviso viene citata Ilse Grese, una delle più spietate aguzzine di Auschwitz, e cominciano ad affiorare dettagli sinistri. “Ho voluto dare proprio questo senso di apparente normalità” mi racconta nella sua casa di Brooklyn, “e all’inizio pensavo ad una novella, ma poi l’idea di una storia d’amore all’interno di un’ambientazione disumana mi ha portato in direzioni inaspettate. Lei parla di atrocità usando anche momenti di ironia. Ritengo che sia un errore utilizzare solo la serietà per descrivere un orrore. Ho usato la satira specie nel modo in cui descrivo Doll: c’è qualcosa di ridicolo nel suo essere pomposo, ma nello stesso tempo è un uomo che commette efferatezze. Si può arrivare ad essere comici trattando una tragedia? La storia dell’arte ci ha insegnato che a volte si è molto più efficaci con la leggerezza. Aggiungo che sono sempre contrario ai limiti e alle censure, e la risposta è nel modo: un esperimento che ho apprezzato è “Maus” di Art Spiegelman. È la seconda volta che affronta l’Olocausto. WG Sebald arrivava a sostenere che “ogni persona seria non può parlare d’altro”. Io credo sinceramente che confrontarsi con l’abominio dell’Olocausto è fondamentale per comprendere noi stessi. In “Time’s Arrow” raccontavo la storia partendo dalla fine per vedere come questo spostamento temporale cambiasse anche la morale. In questo caso ho cercato invece un approccio realista, cercando di evitare il genere. C’è spazio per una storia d’amore e desiderio all’interno della più tragica mostruosità della storia? Certo, è può offrire lo spiraglio in cui si scorge l’umanità, e quindi la redenzione. Si tratta tuttavia di una storia d’amore frustrata, che aiuterà Golo ad avere maggiore coraggio e consapevolezza dell’orrore che sta vivendo. Come interpreta il rifiuto da parte degli editori Gallimard e Hanser? Mi ha molto sorpreso, evidentemente ci sono argomenti tabù: una mescolanza di ideologia e il desiderio di evitare problemi. Ovviamente, come accade in questi casi, le motivazioni addotte sono state puramente letterarie, ma leggendo le note ho capito che non hanno capito, o voluto capire il senso del libro. Il romanzo ha alcuni aspetti in comune con “Le Benevole” di Littell. Apprezzo sempre i libri che affrontano grandi temi, e auspico che questo sia la direzione della letteratura contemporanea. Nel caso specifico si tratta di un romanzo interessante, specie nelle parti dedicate a Stalingrado e Auschwitz. Nel mio libro, invece, uno degli aspetti che mi interessava maggiormente era analizzare gli effetti dell’Olocausto su alcune persone che ne sono responsabili. Il risultato delle loro azioni rimane sterile e tragico. Purtroppo la storia ci ha insegnato che è andata così, e non apprezzo chi la manipola secondo le proprie esigenze creative. Tuttavia ho cercato di capire l’animo dei personaggi, anche dei più ottusi e perversi: di fronte ai forni crematori Paul si chiede “se quello che stiamo facendo è buono, perché ha un odore così tremendo? E perché nel cuore della notte sentiamo l’insaziabile desiderio di ubriacarci brutalmente?” Ritiene che l’Olocausto possa accadere nuovamente? L’anti-semitismo continua a risorgere in Europa e altrove, a volte in maniera camuffata: i segnali sono allarmanti e in alcuni casi gravissimi. L’Olocausto ne è stata la logica e agghiacciante conseguenza. Si è mai chiesto come sia stato possibile? Me lo chiedo ogni giorno, ma il male si può raccontare più che comprendere. L’umanità continua a perpetrare genocidi perché la malvagità è parte della sua natura: la leggenda dello specchio che mostra l’anima termine con la constatazione che nessuno è in grado di guardarlo per più di un minuto. Gli artisti vedono le tragedie con anticipo. È un privilegio triste. Oggi viviamo un periodo che nessuno avrebbe mai predetto, segnato dalla disintegrazione degli stati e pulsioni estremiste: l’estremismo ha sempre rappresentato una costante disastrosa per l’umanità, e non ha mai generato nulla di buono. Il rischio maggiore è rappresentato dal fondamentalismo, e il più pericoloso è quello che si sposa con l’anti-semitismo. ANTONIO MONDA
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