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12/10/2014
LA DIFESA DI BEN LERNER “CROLLATE LE IDEOLOGIE LE STORIE SIAMO SOLO NOI”
LA DIFESA DI BEN LERNER “CROLLATE LE IDEOLOGIE LE STORIE SIAMO SOLO NOI”
da La Repubblica
DOPO essersi affermato come poeta e aver dato alle stampe l’acclamatissimo romanzo Un uomo di passaggio (Neri Pozza), Ben Lerner si cimenta ancora nella narrativa con 1-0: 0-4, accolto nuovamente come un caso letterario. Il romanzo, che uscirà in Italia per Sellerio, ha avuto l’appoggio entusiasta anche di Jonathan Franzen («esilarante, molo intelligente e originale») e Jeffrey Eugenides («Lerner è coraggioso, intelligente e destinato ad una grande carriera»). Conferma il talento di una personalità eclettica e dotata di grande senso dell’umorismo, che probabilmente non sceglierà mai di limitarsi ad una sola forma espressiva: è un ammiratissimo docente universitario e il mondo culturale americano ha avuto modo di apprezzarlo anche come saggista. 1-0: 0-4è un riuscito patchwork in cui mescola descrizioni realistiche a momenti onirici, con intromissioni improvvise di immagini: la voce narrante è debitrice del Lamento di Portnoy di Philip Roth, l’attenzione estenuata al dettaglio autobiografico ricorda Karl Ove Knausgaard, ma altri elementi fanno pensare a Teju Cole. Originario del Kansas, Lerner è figlio di Harriet, celebre psicologa e riferimento del movimento femminista. «Sarei ridicolo a negare l’importanza del ruolo di mia madre e del suo lavoro intellettuale », racconta nella sua casa di Brooklyn. «È stata la prima scrittrice che ho conosciuto, e grazie a lei ho imparato l’importanza primaria del linguaggio. È anche una grande editor, attenta all’uso esatto delle parole. Devo a lei anche la riflessione sul rapporto tra macro-politica e quotidianità». Lei mette se stesso al centro di storie dolorose, usando toni da commedia. «Credo che sia l’unico modo di farlo e certamente il meno doloroso. Uno dei miei riferimenti è il Don Chisciotte , specie per come rivoluzionò le convenzioni letterarie. Lo dico con la massima umiltà, ovviamente, come quando cito un altro gigante come Walt Whitman. Mi interessa la riflessione sul rapporto tra creazione e realtà, e su come l’invenzione artistica, anche quando parla del passato, parli del futuro e determina il presente. Mi chiedo cosa significhi essere vivi nel presente, quale sia il nostro rapporto con la nostra fallacia». Nel romanzo contemporaneo assistiamo ad una tendenza crescente a mettere l’io al centro delle storie, con un autobiografismo estenuato. «Non sono un critico né un antropologo, ma immagino che abbia a che fare con il crollo delle ideologie che avevano minimizzato il ruolo dell’individuo. Apprezzo molto il lavoro di Knausgaard, specie per il modo in cui anche lui riflette sul rapporto tra creatività e realtà: per quanto mi riguarda parto sempre dall’elemento letterario e tra i miei riferimenti costanti ci sono anche autori diversissimi quali Thomas Bernhard e WG Sebald». Parlare dell’io significa anche parlare del rapporto con gli altri. «Per questo è fondamentale l’onestà con cui ci si racconta, e, in molti casi, si è pronti a sacrificarsi per la creazione artistica». Il suo stile combina espressioni diverse: è un altro segno della contemporaneità? «Credo sia errato parlare di contemporaneità: in Vita e opinioni di Tristram Shandy Laurence Sterne mescolava linguaggi differenti in modo rivoluzionario. Io cerco di rispondere alle domande odierne, ma credo di non inventare nulla di nuovo: in quello che faccio, e fanno altri autori, c’è qualcosa di antico, forse di eterno». Lei è anche un poeta: che importanza ha avuto nella sua formazione? «Devo rettificare il tempo della sua domanda: penso che abbia importanza oggi e la avrà sempre. Ed è un’importanza imprescindibile: considero la poesia uno strumento per proiettarsi nel futuro». Nel romanzo lei cita un quadro di Giovanna d’Arco. «Sono sempre stato affascinato dalla storia delle voci e della missione divina». Ma poi lo mette in relazione con Ritorno al futuro «Ancora una volta una proiezione nel futuro, anche se questa volta in chiave pop». Uno scrittore che ha mescolato continuamente l’ highbrow ed il lowbrow è stato David Foster Wallace «È uno degli autori imprescindibili per comprendere la letteratura e la cultura di questo periodo ». Il suo alter-ego riflette che l’anticipo dovuto al successo del suo primo libro corrisponde a 25 anni di lavoro di un emigrante messicano. «Ho cercato di esporre le mie paure rispetto a divenire corrotto e ho riflettuto sul rapporto tra arte e mercato. Una riflessione morale che spero non divenga moralista ». ANTONIO MONDA
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