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20/10/2014
DAVID LEAVITT: "IL MIO ROMANZO SU LIRA E EURO"
DAVID LEAVITT: "IL MIO ROMANZO SU LIRA E EURO"
da Il Secolo XIX
NEW YORK. Tra i progetti di David Leavitt c'è anche un romanzo sul panico causato in Italia dal cambio lira-euro. Lo scrittore, tra i primi e più celebri esponenti della letteratura gay americana oltre che residente per quasi sette anni nel nostro Paese, al momento sta lavorando su una storia ambientata in India ma non esclude di tornare, almeno con la fantasia letteraria, in Italia. Il motivo della sua affezione verso il tema del passaggio dalla lira all'euro è semplice. Leavitt se ne andò dall'Italia (viveva a Semproniano, in Maremma), proprio per l'aumento dei prezzi post-euro, oltre che per un'offerta di lavoro in Florida, Stato americano in cui oggi abita. Con i grandi amori, la risacca della memoria tende a riportare sulla spiaggia del presente solo i ricordi più belli. La regola vale anche nel caso di Leavitt: il suo ricordo dell'Italia sembra portare alla deriva qualsiasi accenno di attualità, con problemi più gravi come recessione e disoccupazione alle stelle, che potrebbe intaccare un passato ormai avvolto da una patina di romantica nostalgia. Leavitt, quando è stato in Italia l'ultima volta? «Oh, Santo Cielo, è già passato così tanto tempo. Nel 2011 all'evento letterario Le Conversazioni a Capri». Che impressione le ha fatto? Anche se, va detto, Capri non fotografa tutta l'Italia. «In quei giorni sono stato anche a Napoli e a Roma. Mi è sembrato che l'Italia non sia cambiata tanto al contrario del Portogallo, il luogo in Europa che ho frequentato di più negli ultimi due anni per scrivere il mio ultimo libro ("The Two Hotel Francforts"), dove i problemi economici legati all'ultima crisi sembravano più palpabili». Pensa che gli italiani siano affetti da sindrome della "Dolce vita?"». «Non c'è dubbio che, qualunque sia la situazione corrente, gli italiani affrontino la vita di ogni giorno con uno stile unico. Sembra a volte che qui certe cose non cambino mai». Insomma, sembra quasi che non ci siano aspetti negativi nel Belpaese. Eppure... «Oh, certo, uno apre i giornali e le cattive notizie ci sono. Poi vivendo in Italia quella patina dell'immaginario tipico dello straniero viene scalfita dalla quotidianità». Cosa l'aveva affascinata tanto dell'Italia da spingerla a decidere di trasferirsi in Toscana? «Sono cresciuto influenzato da un sacco di letteratura su questo Paese, a cominciare da E.M. Forster e la sua "Camera con vista". In particolare, Firenze è una mecca per ogni artista». La città è stata all'altezza delle sue attese? «Firenze, inevitabilmente, delude. Le aspettative sono troppo alte. Poi, quando ci si vive, è un'altra cosa, ci sono troppi problemi pratici da affrontare». E come gay ha mai avuto problemi in Italia? «Nessuno. Ma forse perché ero straniero e non cattolico. Ricordo un amico italiano gay che si creava molti problemi dovuti al suo background. Tutte le volte che il suo fidanzato lo andava a trovare, voltava verso il muro un'immagine della Madonna». Pensa che si arriverà mai ad avere matrimoni omossessuali in Italia? «Chi lo sa, non credevo fossero possibili nemmeno in America. Credo che da voi il problema più grosso sia la presenza del Vaticano». Perché decise di lasciare l'Italia nel 2000? «Nel 1993, quando mi trasferii a Semproniano, era un posto ancora conveniente per uno scrittore. Con l'euro tutto è cambiato». Poi, però, ha preso una seconda casa in un paese altrettanto instabile come l'Argentina. «È durata solo un anno, infatti. La burocrazia? Peggio di quella italiana». Dove comprerebbe oggi una seconda casa? «Ultimamente sono stato molto in India. Mi piace. Devo avere una certa fascinazione per i luoghi difficili». È li che ambienterà il prossimo libro? «Lo sto già scrivendo. Ambientato in parte in Florida e in parte in India». Una storia gay? «C'è sicuramente una componente gay, ma non è quella principale». Non scriverà mai più libri sull'Italia? «È da tanto che ne ho in mente uno sul panico causato dal passaggio lira-euro». Un confronto tra italiani e americani. La caratteristica migliore e quella peggiore che entrambe le popolazioni possiedono? «Gli italiani sanno sempre dove è la propria casa, le radici. Noi americani abbiamo perso questi riferimenti. Per voi italiani, è però anche un limite: il forte senso di appartenenza a volte vi frena. Al contrario gli americani godono di maggior libertà». Cosa manca all'Italia per essere un posto perfetto in cui vivere? «Dovrebbe essere meno cara».
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