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15/10/2014
“CARA AMERICA MI HAI ACCOLTA MA SEI RAZZISTA”
“CARA AMERICA MI HAI ACCOLTA MA SEI RAZZISTA”
da La Repubblica
NEW YORK
ESCE in Italia, pubblicato da Einaudi, Americanah il terzo romanzo di Chimamanda Ngozi Adichie, che segue gli acclamati L’ibisco viola e Metà di un sole giallo. Nativa di Enugu, in Nigeria, questa magnifica scrittrice trentasettenne, ha studiato medicina nel proprio paese prima di trasferirsi diciannovenne negli Stati Uniti, dove si è laureata e ha ottenuto due master in scrittura creativa e studi africani. Lo scorso anno, il suo discorso sul femminismo We should all be feminists (“Dovremmo essere tutte femministe”) ha ispirato la popstar Beyoncé, che ha campionato lo speech, inserendolo nella canzone Flawless. Americanah ne conferma il talento, la sincerità espressiva e la personalità fiera: accolto da critiche eccellenti (il Boston Globe l’ha definito “indimenticabile”), è stato opzionato dal premio Oscar Lupita Nyong’o per farne un film prodotto da Brad Pitt. La vicenda, dagli evidenti echi autobiografici, racconta la storia d’amore di una giovane nigeriana che emigra in America all’epoca della dittatura militare. Ifemelu ha lasciato nel suo paese il grande amore Obinze, che non riesce a raggiungerla in seguito alle restrizioni del dopo 11 settembre. Agli occhi della giovane donna l’America rappresenta un paese pieno di contraddizioni, dove è costretta a confrontarsi per la prima volta con il razzismo. Al ritorno in Nigeria, ritroverà Obinze, ma nulla sarà come prima.
«Sarebbe ridicolo negare i riferimenti alla mia esperienza» racconta l’autrice, seduta in un bar del Maryland «ma credo che il romanzo affronti temi che prescindono da me, a partire dal problema razziale».
Perché lo definisce ancora “problema”?
«Perché è lungi dall’essere risolto e ovviamente non mi riferisco solo all’America. A volte, temo che le discriminazioni siano costanti eterne dell’umanità. Come gli odi culturali e religiosi».
Come vive dall’America l’offensiva di Boko Haram?
«Con il cuore pieno di angoscia. È agghiacciante la lunga serie di violenze perpetrate nei confronti dei cristiani ed è grave che siano state a lungo ignorate dai media. Parlo costantemente con i miei genitori, che sono praticanti e ancora in una condizione di assedio costante: la loro chiesa è stata distrutta, ma pare che l’esercito stia lentamente riprendendo il controllo del territorio ».
Quanto di questa situazione tragica ha influenzato il libro?
«Il romanzo ha una chiave diversa, ma credo che sia evidente il clima di violenza e instabilità. Mi identifico in entrambi i protagonisti, che hanno fatto scelte differenti rispetto al loro paese. Quanto ho scritto nasce dalle mie osservazioni sull’America elaborate negli anni ».
I temi trattati sono molti, eppure lei ha definito il libro “una storia d’amore”.
«Perché di questo si tratta. Ma confesso di averlo detto anche per provocazione: sembra che oggi una scrittrice donna che abbia pretese alte debba scrivere solo testi che affrontino i massimi sistemi, dimenticando che non esiste nulla di più onesto, rivelatorio e appassionante di una storia d’amore».
Nell’incipit, lei scrive: «Princeton, d’estate, non aveva odore». In America cosa le manca di più?
«La famiglia e la sensazione di poter comprendere o possedere qualcosa che sia interamente mio».
Lei scrive: «Cara donna di colore non americana, quando fai la tua scelta di venire in America diventi nera. Smetti di discutere. Smetti di dire: sono giamaicana o del Ghana. All’America non importa».
«È quello che penso. L’America ti accetta e ti può dare moltissimo, ma richiede la tua integrazione a rischio della semplificazione. C’è qualcosa di legittimo in tutto ciò, ma è anche di molto doloroso».
Cito dal libro: «Stirarsi i capelli è come essere in prigione. Sei intrappolato e i tuoi capelli ti comandano».
«L’ho scritto con ironia: si tratta di qualcosa che ho vissuto: da ragazza non volevo essere differente dagli altri e rinunciavo a essere me stessa. La mia protagonista cerca di avere anche un accento americano ».
Cosa intende quando dice: «In America esiste il razzismo, ma i razzisti non ci sono più»?
«Che nessuno ammette di essere razzista, a volte per ipocrisia, a volte perché alcuni razzisti non riescono neanche a rendersi conto di esserlo».
Scrive anche: «Come era facile mentire agli stranieri, creare con loro le versioni delle nostre vite che immaginavamo ».
«Anche questo l’ho scritto con autoironia: è un’altra cosa che ho vissuto, e che penso sia inevitabile per chi lascia la propria casa».
La scoperta della realtà americana la porta ad affermare: «Avere soldi sembrava essere consumati dai soldi».
«Attribuire troppa importanza a qualcosa porta alla corruzione. Ma attenzione: non vale solo per i soldi».
Ifemelu ha una relazione con Blaine, un professore grazie al quale lei scopre l’ipocrita correttezza politica di un certo mondo liberal americano.
«È una delle realtà che mi ha colpito di più: l’atteggiamento autoconsolatorio che porta a dire sempre le cose giuste e inattaccabili senza avere mai il coraggio di cambiarsi e cambiare realmente. A volte si tratta di escamotage lessicali che si limitano a camuffare o anestetizzare la realtà. Altre volte di un’autoassoluzione della propria coscienza con battaglie generiche sulla pace o l’ambiente o un’attenzione quasi religiosa a cose come il cibo “bio”».
ANTONIO MONDA
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